La cultura è la trama del progresso
Cultura, identità e innovazione: la sfida per il futuro.
In occasione della presentazione dell' 11° rapporto annuale di Federculture che si svolgerà mercoledì 08 luglio alle ore 10:30 a Roma presso il Conservatorio di Santa Cecilia, pubblichiamo in anteprima il testo, contenuto all'interno del rapporto, scritto dal direttore di Matera 2019 Paolo Verri e l'ex sindaco di Matera Salvatore Adduce.
Il progetto di Matera 2019 come esperimento per nuovi modelli di crescita sociale fondata sulla cultura.
Alla presentazione a Roma saranno presenti il sindaco di Matera Raffaello Giulio De Ruggieri, il direttore e il manager sviluppo e relazioni della Fondazione Matera-Basilicata2019.it, Paolo Verri e Rossella Tarantino.
"La cultura è la trama del progresso. Gran parte dei problemi che abbiamo davanti, gli squilibri economici, sociali e ambientali nonché i comportamenti di intolleranza e di violenza, si alimentano dell’ignoranza e della paura.
Per questo solo uno sviluppo basato sull’educazione, sulla diffusione delle conoscenze, su una spinta all’innovazione, potrà dare risposte alle aspettative e alle speranze. Occorre, dunque, ampliare lo sguardo che relega la cultura a fenomeni di mero consumo e intrattenimento, che affossa il significato dell’arte e della storia a una concezione monumentalistica del patrimonio culturale, lontana dalla vita delle persone.
Non solo per affrancare il futuro delle prossime generazioni dall’incertezza, dalla disoccupazione, dallo sfilacciamento del tessuto della società civile, ma soprattutto per ricostruire un nuovo disegno di sviluppo che valorizzi il capitale culturale e realizzi una vera democrazia delle opportunità"
Open Future - Al servizio dell'Italia, al servizio dell'Europa.
Open Future per Federculture - 11° rapporto annuale 2015
1. Senza radici, nessun futuro
Alla notizia della nomina di Matera capitale europea della cultura avvenuta il 17 ottobre 2014 molte delle prime reazioni sono state eccezionali e convenzionali insieme.
Eccezionali in numero e per la visibilità che la città ha avuto; convenzionali perché in primis hanno ripreso la storia degli ultimi settant’anni, dallo svuotamento dei Sassi alla nomina a patrimonio mondiale UNESCO avvenuta or sono vent’anni, alla prima notorietà derivata alla città dalla scelta di Mel Gibson di girare il suo Passion in una Gerusalemme genuina a assolata, su di un Golgota che si appaia alla Murgia e la rende immediatamente appetibile per il turismo americano.
Ma la storia di Matera è ben più lunga e mai il suo percorso di candidatura si è fermato all’oleografia, nemmeno a quella straordinariamente ordinaria di personaggi come Olivetti e Pasolini, che da visioni del mondo diverse, ma insieme utopiche e concrete, convergono verso i Rioni e la campagna circostante per cercare e trovare risposte alla loro istanza di contemporaneità.
Fin dai viaggiatori arabi che nel XIII e XIV secolo facevano tappa nella zona apprezzando la “magia di un territorio che facevano specchiare in terra le stelle celesti”, Matera dimostra una vivacità che perdura nei secoli e che fino alla metà del Settecento l’apparenta alla terre d’Otranto. Il modo di vivere e di abitare la città si fa notare sempre per la sua assoluta originalità, legata alle difficoltà di raccolta d’acqua e di aridità del terreno, che costringe gli abitanti a massacranti percorsi dall’abitato alla campagna.
La società che ne nasce è una società che per secoli separa l’aristocrazia dai poveri, che tuttavia assumono un atteggiamento di straordinaria serietà ed eticità; non hanno voglia né tempo di lamentarsi, ma preferiscono rimboccarsi le maniche e migliorare l’ambiente che li circonda.
Questo approccio alla vita è la base della candidatura di Matera per il 2019; mai pensare al mondo come se qualcuno ti dovesse qualcosa, ma piuttosto vivere l’esistenza come occasione di servizio e di condivisione.
La struttura stessa della famiglia, della casa, gli spazi aperti del vicinato, l’abitudine al riutilizzo dei beni individuali che possono diventare collettivi (come nel caso della “crapiata”, la minestra estiva fatta con i resti del raccolto e distribuita a tutti i membri della collettività senza distinzione), per arrivare all’impianto urbanistico e architettonico della città, costruito senza capolavori frutto di singole eccezioni ma di uno sforzo universale, sono gli elementi di base di un modello sociale che parte da una cultura urbana originale, unica in Italia e simile in parte ad altre comunità del Mediterraneo del sud, come in Turchia o in Tunisia.
Un altro elemento di base, oltre a quello legato agli spazi, è quello legato ai tempi: il tempo a Matera è il tempo dell’eternità, della prospettiva lunga, della lentezza che diventa opportunità, se non si trasforma in malcostume amministrativo. E’ il tempo della natura che sfida il tempo dell’uomo; due temporalità che si confrontano a specchio mettendo in gioco i propri limiti, facendone pietra di paragone.
2. Parole chiave da condividere, parola chiave? Condividere!
Senza radici, nessun futuro; ma anche nessuna elegia del passato, anzi. Per il progetto Matera 2019 abbiamo preso come punti di partenza una serie di parole chiave pronunciate nel corso del 2011 da una serie di personaggi significativi sia in sede locale che in ambito nazionale e internazionale.
Alcuni esempi? Le ricerche di Pietro Laureano sul ruolo dell’acqua e la ricerca della sostenibilità dialogano con il concetto del Premio Nobel Woodrow Clark che ci istiga a fare di più e meglio con meno; la ricerca di nuovi modelli dell’abitare si legano al dialogo tra le grotte e le stelle e la ricerca costante dei percorsi del rupestre cara all’Associazione La Scaletta; le indagini su familismo e riscatto vengono sottolineate da un esperto di cultural studies come Franco Bianchini che ci incita a far emergere i problemi del passato e del presente, piuttosto che incensare le bellezze, se si vuol essere di interesse per la commissione di esperti che dovranno giudicarci.
E’ soprattutto una forte dichiarazione di Mario Draghi fatta nel suo ultimo discorso come Governatore della Banca d’Italia, prima di approdare alla Banca Centrale Europea, quella che segna il primo anno di lavoro alla candidatura. Draghi parla di Matera come “sud che funziona” e questa semplice citazione riempie di orgoglio e di voglia di fare. I giovani che nel 2009 per primi hanno costituito l’Associazione Matera 2019 portando all’attenzione delle istituzioni la possibilità per Matera di muovere un altro significativo passo avanti nella propria storia avevano intravisto nella dimensione europea della candidatura un elemento necessario per la crescita socio economica del territorio; ma a questo elemento va sommata la dimensione partecipativa che fa buon uso di alcune altre esperienze in corso in Basilicata.
Il riferimento va principalmente al progetto “Visioni Urbane”, nato in seno alla Regione Basilicata con l’intento di far rivivere alcuni spazi costruiti ancora con i fondi per la ricostruzione di Campania e Basilicata dopo il terremoto del 1980. Con il progetto “Visioni Urbane”, come in Puglia grazie al progetto “Bollenti Spiriti” (e con le dovute differenze) si attiva un percorso in cui invece di fare dei bandi per attribuire degli spazi (o meglio, prima di fare bandi per attribuire gli spazi) si attiva la scena creativa dell’intera regione per verificare quale possa essere la progettualità collettiva del territorio e si avvia un percorso di crescita e di relazione pubblico privato basato su una collaborazione competitiva, dove il singolo attore socio culturale si adopera per uno scopo condiviso, senza tuttavia operare in uno stretto consociativismo.
Questo clima presente alla fine del primo decennio del nuovo secolo tende, a partire da Puglia e Basilicata, a combattere una doppia identità negativa ben presente in tutta Italia e particolarmente a sud: quella della frammentazione dei soggetti e quella della dipendenza assoluta dalle risorse pubbliche come unica possibilità di sostegno alle attività culturali.
Un clima aperto, dove le strategie e i risultati sono collettivi e non prevedono contrapposizione fra amministrazioni locali, nazionali, europee e operatori privati, ma un tentativo di percorrere nuove strade comuni, dove protagonista è il cittadino e la cultura invece di essere un prodotto di élites calato dall’alto al basso (quali che siano le élites, anche le più democratiche) è invece frutto di scambio di idee e opinioni con gli abitanti dei luoghi.
Se si va sul sito www.matera-basilicata2019.it si ritrovano questi passaggi, ma soprattutto si può scaricare un power point del 2012 in cui tutte queste istanze erano già molto ben dettagliate, e i punti di forza del lavoro comune venivano paragonati ai punti di debolezza innegabili. I più dei quali erano, come spesso succede, percettivi anziché oggettivi.
3. Partire dai punti di debolezza: una grande opportunità per fare squadra
Sono i pericoli che generano il più delle volte una governance positiva sui territori: il pericolo di decrescita economica e demografica che ti fa ritenere una città che muore (Torino, Detroit), il pericolo di essere percepiti lontani e ignorati da tutti (la Basilicata in Italia, la Frisia in Olanda, perfino la Vallonia in parte in Belgio, per non parlare di vaste porzioni di territorio di regioni scandinave e asiatiche, mediorientali, africane), il pericolo di perdere una sfida che potrebbe sembrare già vinta (Milano con l’Expo, Londra con le Olimpiadi).
Matera è arrivata alla candidatura certo con alcuni fondamenti di apprezzamento da parte di piccoli gruppi di esperti e di appassionati, ma soprattutto con alcuni gap evidenti, in primis quello infrastrutturale. La decisione presa fin da subito è stata quella di non piangersi addosso, ma anche di studiare bene gli altri contendenti, e di rendere conto della vera realtà.
Come Matera alla competizione per il 2019 si sono candidate altre 20 città in Italia, per un totale di 21 contendenti, cifra record da quando per diventare Capitale Europea della Cultura si deve passare attraverso un bando nazionale. Tale bando è composto di due fasi, una prima che prevede la stesura di un dossier un poco più breve di quello finale, e diversamente da quello più teorico e meno esemplificativo del programma finale, presentato poi in una esposizione pubblica della durata di un’ora; una seconda in cui al dossier più lungo e a un orale conclusivo di un’ora e mezza si aggiunge anche la visita di un numero variabile di commissari (tredici in totale) che stanno una giornata intera (ma si potrebbe anche dire “una giornata soltanto”!!) nelle città candidate che sono entrate nella short list.
Le sei finaliste sono state, da nord a sud, Ravenna, Siena, Perugia, Cagliari, Matera e Lecce; nessuna di queste, tranne Cagliari – peraltro ovviamente capitale da sempre dell’Europa insulare – possiede un suo aeroporto, Lecce è forse quella meglio collegata grazie all’aeroporto di Brindisi, mentre le altre quattro stanno da tempo accantonando risorse e speranze per migliorare la propria connettività. Matera – grazie ad uno studio fatto ad hoc da CityO – risulta meglio posizionate di Perugia e di Siena, e a pari merito con Ravenna, che ha il treno da Bologna comodo ma tuttavia l’aeroporto non proprio servitissimo.
Ma anche se la distanza da coprire per arrivarci non è affatto proibitiva ed anzi in linea con molti dei più normali viaggi che si fanno in tutto il mondo per visitare città simili o anche più grandi di Matera, da sempre quella della connettività fisica, su rotaia, è una richiesta assoluta degli abitanti del luogo – sarà utile qui ribadire che entro il 2017 le Ferrovie Appulo Lucane collegheranno Bari Centrale (dove si spera entro il 2020 possa arrivare l’alta velocità Milano Roma via Napoli) a Matera via Altamura (città fondamentale per il suo essere baricentro qualificato tra la Murgia barese e quella materana); anche se questa vivacità infrastrutturale è ribadita dai lavori in corso sulla superstrada Bari Palese – Matera che avrà quattro corsie sempre entro la prima metà del 2017; ebbene nonostante tutto questo la prima domanda in qualsiasi contesto si ponga il caso Matera è “come raggiungerla”.
Questa distanza mentale e morale non si può non ammettere sia stata grandissima fonte di ispirazione per la candidatura. Ma svolgendo il compito come un vero e proprio paradosso. E’ certo infatti per la sua distanza da una serie di centri di traffici più o meno leciti (dai porti del sud in particolare) che Matera risulta essere stabilmente, insieme a Bolzano (dati Istituto Tagliacarne) o la prima o la seconda città più sicura d’Italia. E’ inoltre importante ricordare che l’intera Basilicata è grande all’incirca il parco naturale statunitense di Yellowstone, patrimonio dell’umanità. Composto di 900 ettari, il parco naturale più antico al mondo (è stato fondato nel 1872, compirà a breve 150 anni) ha un tetto massimo di 3 milioni di visitatori l’anno; la Basilicata, che di ettari ne ha poco più di 1000, ha già oggi 1 milione e 800 mila visitatori l’anno, con un crescita costante negli ultimi tre anni di circa il 10% l’anno (oltre il 55% in tre anni la sola Matera, in virtù principalmente della candidatura). E’ naturale pensare non a una crescita infinita del turismo, ma a una nuova modalità di fruizione del paesaggio e della storia locale, ormai a tutti gli effetti entrati nell’olimpo delle destinazioni nazionali. Ma se preservare è stato involontariamente possibile, se costruire un’idea di “giardino segreto dell’Italia” è alla base delle proposte di ingaggio del pubblico interessato alla Basilicata come “bella scoperta” della nazione a tutt’oggi più desiderata al mondo (si veda il Country Brand Index aggiornato al novembre 2014), tutto ciò è dovuto anche alla parziale impercorribilità infrastrutturale, che non è solo e soltanto un male, ma anche un metodo di implicita difesa dalla possibile “disneyzzazione” della città.
Per concludere la rassegna dei punti di debolezza individuati in fase di analisi della possibilità che per Matera fosse utile candidarsi (leggete bene la domanda: non abbiamo studiato se potevamo vincere, ma a che condizioni era utile pensare a Matera città candidata), oltre al tema infrastrutture materiali e infrastrutture immateriali (queste ben più preoccupanti nella loro debolezza, come sottolineeremo a breve), le altre caratteristiche negative della regione e della città erano e sono anch’esse abbastanza note: troppo presenza della cosa pubblica, troppo poco peso dell’impresa privata; una comunicazione mono direzionale vissuta solo come opportunità e non anche come rischio; una città ancora non abbastanza universitaria e congressuale; difficolta’ / opportunita’ di far convergere su Matera tutte le energie regionali (con conseguente domanda di come lavorare al meglio non solo con Potenza ma anche con Melfi, Maratea, Pollino, Pisticci, Rionero). Infine, tra gli ultimi giorni del 2011 e i primi del 2012, cercavamo di capire anche se le lobby nazionali sarebbero state in grado di aiutare in maniera trasparente il percorso di candidatura.
Tutto questo, come?
4. Un dossier è un dossier è un dossier
Alle domande e ai problemi sollevati dai punti di debolezza potenziale della candidatura, che si scelse di intraprendere accogliendo la proposta dei giovani dell’Associazione Matera 2019 facendo nascere nel luglio del 2011 il Comitato Matera 2019, costituito da Comune e Provincia di Matera, Regione Basilicata, comune e Provincia di Potenza, Università della Basilicata e Camera di Commercio, si cercò di dare una risposta molto poetica. Non in senso naif, ma in senso linguistico: la candidatura doveva, come poco sopra accennato, valere di per se stessa. Come nella poesia scritta cent’anni prima da Gertrude Stein, “Una rosa è una rosa è una rosa”, così lo statement che abbiamo cercato di applicare al percorso avviato nel 2011 dopo un anno di discussioni e di analisi, è che “un dossier è un dossier è un dossier”, ovvero che candidarsi aveva senso se produceva già una serie di strumenti e di linguaggi validi in sé, che non dovevano aspettare il giudizio della giuria, ma dare luogo ad una nuova retorica utile a prescindere.
Ripassiamo qui di seguito una serie di regole di ingaggio, le prime due basate sulle richieste fondamentali della commissione giudicatrice e riportate anche negli studi di Bob Palmer sul lavoro principale che le città candidate e quelle poi selezionate come capitali devono svolgere: innanzitutto si tratta di sviluppare un dimensione del lavoro e dello sviluppo della cultura che sia in grado di coinvolgere appieno la città e i cittadini che la abitano; e poi di mettere a valore assoluto la dimensione europea delle azioni previste, siano esse a partire dal territorio (chiamiamo per ora ancora provvisoriamente ma con grande attenzione questa azione “export culturale”) siano essere portate a carpire segreti e idee e risorse umane al resto d’Europa (chiamiamo questo senza troppa negatività da connotarsi sul termine “import culturale”).
In entrambi i casi, pur usando nomi e terminologie che si basano sull’abaco economico, in realtà si tratta di cominciare a spostare la ricerca di impatto da elementi strettamente utilitaristici alla ricerca di nuovi valori, la maggior parte dei quali sono la ripresa e la ri-attualizzazione di valori del passato che o abbiamo perso o che non abbiamo più voluto considerare come veramente basilari.
Questi valori vengono rimessi in gioco da quella che erroneamente la società occidentale definisce “crisi” e che ha come termine a quo il 2008. Senza quella crisi, in sé breve ma di grandissimo impatto soprattutto per grandi economie, quali quelle di USA, Russia e Cina, noi continueremmo a scambiare il nostro tempo con l’accumulo di risorse in solido, e di cercare di lavorare il più possibile per poi “comprare” tempo liberato.
Ma tramite una attenta progettazione, lavorando su innovazione, comunicazione, fund raising
e anche lobby trasparente e aperta, si può cominciare a far capire a tutti, a partire da noi stessi, che la favola economicista della cultura come settore economico integrativo o sostitutivo di altre attività “a pagamento” è assolutamente errata, anzi, incomprensibile.
Il turismo culturale, connesso a forme di produzione innovativa di contenuti digitali di forma artistica e / o scientifica, quello si è una forma di economia, ed anche in potente crescita. Ma metterla al centro della candidatura, fare dei Sassi un parco divertimenti, disabitato dai cittadini e abitato solo da turisti, non poteva essere il desiderio di una città dalla radici profonde come Matera. Ecco perché abbia scritto un primo dossier di candidatura molto “politico” dove insieme erano chiari gli obiettivi sociali e culturali, da dove potesse provenire in maniera condivisa la linfa vitale con cui innaffiare la regione e non solo, e in cui sono fondamentali termini quali “abitante culturale” e “cittadino temporaneo” ovvero due categorie che rimescolano le carte e cercano di ridare coscienza attiva sia chi da sempre risiede nella città dei Sassi sia chi la visita per poche ore – cosa che vogliano che accada il meno possibile, affinchè il meno possibile l’esperienza di Matera, ovvero di qualsiasi altra città al mondo, si possa concludere nel solo effetto cartolina, sia esso giocato tramite foto al panorama o selfie individuale e/o di gruppo. Termini che non sono solo e soltanto “esornativi” ma che raccontano subito della voglia di giocare un ruolo attivo per il futuro di una città, quale che essa sia. Termini che mettono sulla quantità dei cittadini coinvolti un accento forte di responsabilità e di coraggio, e sulle spalle dei visitatori una voce che domanda loro non solo cosa vedano ma cosa ne pensano e cosa farebbero se fruissero o costruissero quel bene culturale collettivo a casa loro – ancora meglio cosa faranno per mantenerlo vivo nella loro memoria e nella loro azione tale una volta tornati nella loro vera casa.
Matera diventa così luogo di riflessione sull’azione culturale in sé, piattaforma di dialogo tra presente e futuro, piattaforma di scambio tra bene materiale e bene immateriale, luogo in cui (grazie anche alla relazione tra paesaggio naturale e paesaggio costruito) si cerca di forgiare politiche diffuse e condivise per dare vita a fenomeni intensi e partecipati di cocreazione e codistribuzione.
La scrittura del dossier diventa una sceneggiatura partecipata dove si sperimenta prima di mettere in scena: accade con progetti come Museo per un giorno, in cui le opere della Pinacoteca Nazionale della Basilicata situate a Palazzo Lanfranchi grazie ad una forte e coraggiosa intuizione della direttrice del Museo, Marta Ragozzino, vengono trasferite dalle sale auliche in cui sono sì proprietà di tutti, ma non certo percepite così, nelle case di materani comuni che ne fanno richiesta e me ridiventano proprietari e narratori.
Egualmente, grazie al lavoro di Virgilio Sieni, in occasione dei cinquant’anni del Vangelo secondo Matteo girato da Pier Paolo Pasolini a Matera nel 1964, decine di cittadini diventano protagonisti di uno spettacolo intenso, insieme fisico e decisamente poetico, imparando a scomporre gesti ripetuti che da eccezionali diventano quotidiani e da quotidiani eterni.
Sono solo due esempi di un sistema di attività che ha anche un forte cotè on line oltre che on site: a fianco della discussione legata alla candidatura, la città sente il bisogno di alzare l’asticella, di usare l’occasione del 2019 non solo per fare squadra e sfidare in maniera leale e ancora una volta “cooperativa” le altre città italiane – con le quali non a caso a partire da un convegno tenutosi nel novembre del 2011 nasce il progetto Italia 2019 poi sostenuto dal Cidac e arrivato fino al Parlamento Italiano e ad un voto positivo in esso – ma di rimettere in gioca la totalità dei valori della cittadinanza.
Così, nasce il progetto di “community” che tramite un sistema aperto, non mediato da alcune soggetto interno al Comitato, ma dai partecipanti stessi, agisce come luogo di proposta di progetti utili a tutti che si fanno in occasione della candidatura per far capire le ambizioni e le capacità della cittadinanza attiva. Invece di essere uno sfogatoio dove tutto è negativo (quante volte abbiamo verificato anche con altre città capitali della cultura che i social network si possono ridurre solo a queso!) il sito dedicato alla candidatura viene per due anni utilizzato come una piazza virtuale dove in molti (oltre 200 persone, dato davvero significativo per una città delle dimensioni di Matera) attivano quelle che vengono definite “missioni” che il più delle volte vengono realizzate grazie alla collaborazione dei soggetti della community e senza bisogno di scomodare soggetto pubblici di sorte, se non per chiedere autorizzazione ad agire in spazi altrimenti inutilizzati.
E’, questo della community, insieme a auello del web team, uno dei progetti più copiati anche dalle altre città candidate, e questo essere open, disponibili a raccontare tutto quello che si fa in una logica di esempio e collaborazione e non di città più brava perché fa cose uniche che nessuno può copiare è uno degli elementi chiavi del percorso di Matera.
Ci sono questioni di metodo alla base: se si legge lo schematico documento programmatico del Comitato Matera 2019 datato primo semestre 2012, tra gli obiettivi a breve a termine, vi sono le seguenti azioni: oltre alla priorità assoluta, quella ovvia di far entrare la città nella short list per il 2019, far considerare Matera luogo opinion leader; razionalizzare gli ingressi e i percorsi della città; far abitare di più i Sassi; connettere più i Sassi e gli altri quartieri; mantenere sempre alta l’attenzione per la città anche nelle piccole cose; concettualizzare diversamente tassa di soggiorno, che si sommano a obiettivi a medio periodo, quali far capire che avere la capitale nel 2019 al sud è un vantaggio per tutto il paese, perchè consente di ribaltare molti pregiudizi, ma anche razionalizzare la progettazione del territorio, aumentare le relazioni pubblico / privato e le relative progettazioni, aumentare le relazioni con altre regioni d’Italia e d’Europa; aumentare la consapevolezza dei cittadini; consolidare l’immagine
della Basilicata progettando esperienze innovative memorabili; aumentare lo stock di offerta culturale e turistica (più cose da vedere, più notti da trascorrere).
La candidatura diventa un piano strategico integrato della città, che non casualmente si somma alle riunioni per il piano di gestione UNESCO dei Sassi e della Murgia patrimonio dell’umanità, ma anche alla discussione su come ridare lavoro e speranza ai giovani, impiegandoli non solo nel distretto del salotto, in palese crisi, ma immaginando nuove start up tecnologiche, nuovi servizi al cittadino (sia esso “permanente” o “temporaneo”!), nuovi modelli sociali che si leghino ad una tradizione novecentesca che ha visto Matera in prima fila nel dibattito musattiano sui temi della cura e dell’inserimento di chi soffre di patologie mentali, così come nell’azione per mettere in relazione forte la dimensione urbana e quella contadina della città (che, vale la pena di ricordarlo, a fronte di 63.000 abitanti è il 17° comune più esteso d’Italia), dando vita insieme alle associazioni di categoria alla cosiddetta “Carta di Matera” firmata nel 2010.
5. Creare una nuova idea di cultura, a sud, da sud
E’ solo guardando agli obiettivi nel lungo periodo che la candidatura di Matera, come se invece di visitare la città percorrendone le strade e i vicoli finalmente si arrivasse sulla Murgia e dal “Golgota” di pasoliniana memoria, prende ulteriore prospettiva.
Se l’ambizione dei cittadini e della politica, degli imprenditori turistici e dei commercianti, dei media locali e anche delle élite si può concentrare sul ruolo della città e sul suo riscatto, l’opportunità di fare di Matera una case history di sviluppo urbano sempre più forte ed esemplare di un sud che ce la fa con le proprie gambe, con trasparenza e rigore, facendo convergere su Matera intellettuali e operatori europei, nazionali e meridionali in particolare assume una dimensione di “vision” ben più vasta.
La possibilità è quella di immaginare una cultura nuova, diversa per valori e impatti, e che questa nasca non nei grandi centri urbani europei (Berlino, Londra, Milano, Parigi) ma consentendo ai produttori di fare esperienza di amicizia e di progetto di vita in uno spazio urbano inusitato ed estremamente piacevole. E’ questa la svolta che deve indurre l’idea di passare da “turismo” ad “abitare temporaneo”: fare di Matera – e della Basilicata, e di un sud Italia integrato e competitivo, che tiene insieme non per caso ma per scelta istituzioni come, per fare due esempi immediatamente comprensibili, la Fondazione Notte della taranta e la Fondazione Giffoni Film Festival – un luogo dove si produce cultura, dove la si abita, dove si sperimenta, dove non si ha fretta o angoscia ma dove un pubblico competente e disponibile si confronta apertamente con gli artisti, i ricercatori, gli scienziati, e li stimola – ricambiato – a trovare soluzioni per il territorio che siano poi di esempio e di utilizzo per altre città.
Il desiderio, come descritto nelle prime pagine del secondo dossier di candidatura, quello in cui le istanze politiche hanno preso corpo e si sono trasformate in proposte progettuali e di programmazione culturale, è quello di confrontarsi con tutti gli abitanti d’Europa sul nostro futuro, cercare le domande più significative a livello sociale, economico, scientifico, filosofico, e trovare risposte per il prossimo secolo a partire dai bisogni di città di piccole e medie dimensioni – quelle dove vive a tutt’oggi il 70% della popolazione del Vecchio Continente.
Due sono i progetti fondamentali tratteggiati nel dossier: l’Open Design School e l’IDEA, Istituto Demo Etno Antropologico, entrambi basati nel Rione Sassi, il primo nel Sasso Barisano e il secondo nel Sasso Caveoso, il primo strumento per rendere più fruibile e in maniera più sostenibile tutta la città da parte dei suoi abitanti, il secondo luogo di memorie e di ripensamento dei valori della collettività a partire dagli archivi di ogni genere di tutta la regione. Un luogo in cui interagisocno ricercatori sociali, artisti e pubblico per capire da dove veniamo e dove andremo, quali bisogni avevamo e quali potremmo avere.
Questi due progetti costituiscono l’ossatura di un percorso pluriennale di lavoro e di senso: avere strumenti per migliorare quotidianamente il territorio, averne cura, e avere contenuti sempre da riaggiornare sui quali riflettere e costruire una tradizione contemporanea di storie e di saperi.
6. What next. Dopo il titolo che fare: nuove opportunità, nuovi ostacoli
Dopo aver chiuso felicemente un percorso di candidatura durato cinque anni che non solo ci ha visti prescelti dalla giuria ma soprattutto ci ha messo in rete con centinaia di realtà italiane e straniere, destando una curiosità fortissima nei media nazionali e internazionali, e praticamente vedendo già i ritorni concreti in turismo tradizionale e comunicazione frontale a partire dal 18 ottobre 2014, ora abbiamo di fronte altri otto anni di un lavoro che sarà implementato in quattro biennalità, già descritte e budgettate nel dossier presentato alla commissione giudicatrice.
I primi due anni saranno dedicati a strutturare la Fondazione come strumento collettivo aperto a tutte le più interessanti realtà del sud (alcune a titolo esemplificativo le abbiamo già citate, ma molte ne cercheremo e aderiranno sulla base dei propri interessi e stimoli), ma soprattutto a fare formazione: formazione di produttori di contenuti, formazione di mediatori di pubblico, formazione di personale amministrativo negli enti locali e anche tra i privati in grado di capire e di velocizzare i percorsi legislativi e funzionali necessari alla realizzazione più efficiente ed efficace del percorso. Come discusso con Charles Landry nella prima fase di candidatura e con Chris Torch e Bob Palmer nella seconda, lavorare ad una “creative burocracy” è assolutamente la base di tutti i percorsi culturali a venire nei sistemi urbani complessi.
Le annualità 2017 e 2018 saranno dedicate a produrre tra soggetti del territorio e della macroregione sud (Basilicata + Puglia + Campania + Calabria) e 54 città partner. 27 europee (una per ogni paese UE), 23 italiane (una per regione più le precedenti tre capitali della cultura, ovvero Firenze 1986, Bologna 2000 e Genova 2004) e 4 extraeuropee (da selezionare una per continente sulla base di interessi e istanze comuni, di problemi e sfide da affrontare come il tema delle città ipogee e rupestri, delle comunità con forte emigrazione intellettuale, di luoghi dove forte è il confronto tra vita agricola e vita urbana). Si produrranno 54 settimane di contenuti (i temi e i titoli sono già parte del dossier, coordinato dal direttore artistico di Matera 2019, Joseph Grima) ma l’intento è quello di concertare non solo i contenuti ma anche i pubblici di tutto quanto si realizza, in modo che oltre a renderlo visibile a Matera, in Basilicata e in Italia si abbia già un network chiaro e preorganizzato dove poi tutto circoli tra il 2019 e il 2020 (biennio della distribuzione e della divulgazione).
L’ultimo biennio sarà dedicato al consolidamento del lavoro svolto, e alla sua eredità, come descritto anche a livello di bilancio. Troppo spesso le grandi manifestazioni culturali, sportive o commerciali si concentrano sull’evento e non sulle sue ricadute e sulla sua legacy. A Matera tenteremo di essere un piccolo grande esempio anche in tal senso, usando modelli italiani ma anche modelli europei di valutazione durante e non dopo aver svolto e / o raggiunto i compiti e gli obiettivi
Per questo è sempre stata importante un’azione amministrativa forte accanto alla progettualità del 2019, decisivo aver un bilancio in ordine per attivare nuovi investimenti ma anche lavorare sulla trasparenza e sul principio di delega.
Per fortuna più di tre quinti dei fondi necessari sono già stati allocati da parte della Regione Basilicata e dal Comune di Matera, e questi serviranno per attrarre ulteriori investimenti (il budget complessivo è di circa 50 milioni di euro).
Oggi la sfida è trasformare questo primo deposito di risorse, di sapere e di bellezza come argomento di lavoro / vita per tutti quelli che possono e vogliono diventare nostri partner di progetto. Una sfida enorme che si basa su un principio essenziale: la fiducia. E su una dote importante per chi lavoro a scavalco tra pubblico e privato: la responsabilità. Con un nemico princiapale da battere, l’invidia, male dei nostri tempi.
Ce la faremo?