Co-creazione dei progetti WS #4
Il 25 e il 26 settembre 2017 presso la Fondazione Sassi a Matera si è tenuto il quarto workshop per i nostri trentuno project leader.
Si sta concludendo quella fase definita di “co- creazione”, in cui i project leader acquisiscono conoscenze e si confrontano per migliorare la qualità dei loro progetti e al contempo la Manager Culturale Ariane Bieou, coadiuvata da Agostino Riitano, Ida Leone e altri collaboratori, ha la possibilità di coordinare e monitorare lo stato dei lavori, valutandone criticità e potenzialità.
Dobbiamo immaginare il corso dei lavori su due livelli:
- verticale: ogni project leader porta avanti il proprio progetto;
- orizzontale: i project leader seguono direttive e spunti dati dalla manager culturale sulla base delle criticità e dei temi che accomunano i singoli.
È importante che ognuno mantenga la propria identità, ma che al contempo si lavori assieme; per questa ragione sono state individuate nei passati incontri sei cordate, cioè sei aree tematiche destinate a divenire veri e propri gruppi di lavoro per i nostri project leader.
Proprio la dimensione meta progettuale dei lavori è stata il primo tema introdotto da Agostino Riitano, consulente ed esperto in politiche culturali.
Tre precisazioni iniziali:
- non è obbligatorio per i Project Leader lavorare su questo aspetto, se questo può compromettere la realizzazione del proprio progetto;
- è auspicabile, poiché crea condizioni interessanti per dare la possibilità anche a terzi di capire cosa fanno i gruppi anche a livello europeo;
- è una carta di riconoscimento all’interno del mare magnum progettuale del dossier.
Nel creare le cordate ci si è mossi individuando il minimo comune denominatore in base alle ipotesi di raggruppamento possibili: avere un’etichetta o marchio di fabbrica permette una rapida riconoscibilità. Al momento sei sono le parole chiave intorno a cui ruotano i progetti: vergogna, arcaicità, accessibilità, attraversamento lento, food community e heritage as a stage.
Una settima cordata è stata ipotizzata attorno al tema cinema, ma non è stata ancora sviluppata, poiché si vuole mantenere ogni cordata ibrida e non settata su un’unica arte; in ogni caso si punterebbe su cosa voglia dire produrre un film in Basilicata rispetto ad altri contesti/ luoghi.
Ogni cordata diverrà un gruppo di lavoro a cui saranno offerte occasioni di formazione: i Project Leader potranno partecipare a più di un gruppo e sarà loro data la possibilità di confrontarsi con filosofi che porteranno contenuti utili tali da cementificare l’etichetta di ognuna; queste non saranno figure di coordinazione, bensì di ispirazione, infatti l’azione di ogni gruppo non sarà mai verticalizzata, ma rimarrà orizzontale, proprio perché la sfida sta nel mantenere le identità dei singoli progetti che lavorano insieme.
Tenendo presente questo doppio binario verticale\ orizzontale, a seguire sono stati illustrati alcuni strumenti di management utili ai project leader per riconoscere le criticità del loro lavoro in corso d’opera e rispettare le scadenze intermedie necessarie per raggiungere l’obiettivo.
Una progettualità che non individua minacce è una progettualità ingenua; se la dialettica all’interno dei vari team non viene alimentata non si giungerà ad una strategia valida per arginare o addirittura superare le difficoltà.Altro tema caldo di questa prima parte del workshop è stata l’illustrazione da parte di Ariane Bieou di come funzioni la co-produzione europea ovvero quello strumento creatosi in Europa per finanziare progetti legati al mondo delle arti e creare una rete di produzione culturale viva.
Usando un modello Insitu ( piattaforma europea che supporta l’arte in spazi pubblici) della durata di quattro anni, Ariane ha illustrato quali caratteristiche un progetto che partecipa ad una co- produzione deve avere ( ottenere il consenso della maggior parte dei partner, essere scalabile, essere rappresentativo del progetto stesso, essere diversificato, cioè declinato in performance live, installazioni, etc.) e come vengono distribuiti i finanziamenti ( 50% da partner e 50% dalla Commissione Europea).
In Italia, negli ultimi 15 anni non si è più prodotto per questo siamo disabituati alla logica per cui il produttore ha come vantaggio quello di avere nuove creazioni e di non essere tenuto sotto scacco dal distributore. Le produzioni oggi sono multidisciplinari e questo facilita la costruzione di una rete di partner ad ampio respiro.
Adesso è il momento di entrare in gioco per averne un ritorno economico e reputazionale.
E proprio perché in questo percorso la scelta dei partner è fondamentale per la creazione di una rete il più possibile europea, come la Commissione si aspetta, che Ida Leone cura, assieme all’aiuto tecnico di Francesco Piersoft Paolicelli e al contributo dei vari project leader, la costruzione di una mappa dei partenariati, dove è possibile registrare tutti i partner dei trentuno progetti in campo.
Ogni singola organizzazione deve focalizzare dove si colloca per capire in una fase di sviluppo quali sono i partner giusti, questo il motivo del supporto di Materahub, attraverso l’intervento di Raffaele Vitulli che sollecita la compilazione di un questionario per quanto riguarda la sostenibilità progettuale e manageriale, affinché ogni organizzazione prenda consapevolezza delle proprie criticità e non arrivi a fare problem solving ex post.
Ai project leader nella redazione delle bozze Ariane ha richiesto estrema onestà e di descrivere lo stato dei fatti: nel partenariato è bene tenere sotto controllo il numero e inserire i partner che contano e che sono indispensabili per il progetto, è importante non legare alla richiesta del finanziamento il valore intrinseco del progetto in sé, poiché non vi è un riconoscimento da chiedere, ma un obiettivo da raggiungere, alla luce del fatto che si è già passata la fase selettiva.
Il workshop è poi proseguito il giorno 26 con l’intervento di due ospiti d’eccezione: la prima, Chiara Montanari, esperta nella gestione di gruppi e situazioni complesse in condizioni di stress, il secondo, Dino Amenduni, esperto di storytelling e comunicazione istituzionale.
Ingegnere civile per formazione, interface manager per caso, capo spedizione in Antartide per scelta: questo in estrema sintesi il percorso di Chiara Montanari che, portando la propria esperienza ai project leader, paragona il mondo di oggi all’Antartide, dove non importa quanto tu sia preparato se non sei pronto ad affrontare l’imprevisto. Chiara nel suo lavoro è tenuta a coordinare un gruppo di persone eterogeneo per percorso di vita e formazione: non ci sono solo la lingua, l’età o la religione a contraddistinguere i vari membri del suo team, ma la formazione militare di alcuni contro lo studio scientifico di altri. Una vera e proprio nave pirata! Essere alla guida di un gruppo così multiculturale e multidisciplinare vuol dire gestire molti scopi in poco tempo e con l’imprevisto come costante.
Compito del Project Leader è portare a termine il progetto.
Per farlo ha bisogno del suo team; è fondamentale, dunque, che questi lo ascoltino e rispettino.
Un conflitto può nascere per un equivoco, prospettive diverse, divergenza di opinioni o risorse limitate: ognuno detiene un pezzo di verità e non va ignorato: un conflitto semplicemente rimosso, ma non affrontato è una spada di Damocle che pende sulla vita del team e del progetto stesso. Per questo un Project leader deve evitare i giudizi, la sua attenzione in quel momento deve essere sull’oggetto e non sul soggetto; non bisogna cadere negli alibi, ma concentrarsi per portare a termine l’obiettivo.
Se un progetto finisce non è un dramma, l’importante è accorgersene in tempo per non sprecare risorse preziose per un progetto diverso, magari migliore del primo.
Sbagliare è naturale, ma non bisogna perdere la credibilità, perché è quello che ti fa perdere il supporto della squadra.
In una situazione di cambiamento il project leader non fa certo i salti di gioia, ma con un passo indietro può avere una visione più oggettiva e individuare le problematiche che dall’interno non riusciva ad individuare.
La resilienza nel project management è la capacità strategica di adattarsi ad un mutamento delle condizioni: non bisogna resistere, altrimenti ci si spezza, ma si deve trovare una strada alternativa per perseguire l’obiettivo.
Dunque la parola chiave è mindset: non esistono problemi, ma solo opportunità. Con una buona progettazione e tanta responsabilità individuale e collettiva tutto può essere affrontato, anche nelle situazioni più estreme ( non a caso le agenzie spaziali studiano le missioni in Antartide per preparare al meglio le loro).
Dino Amenduni, socio dell’agenzia di comunicazione Proforma, esperto di comunicazione politica e pianificazione strategica, con i nostri project leader ha analizzato, attraverso esempi pratici, come si è evoluto il mondo della comunicazione e quali possono essere le falle nella stesura di una strategia di comunicazione basata sullo storytelling. Portando ad esempio gli studi dello psicologo Kahneman, esperto dei processi decisionali, per cui il 98% del comportamento umano è determinato dal sistema cognitivo intuitivo e non razionale, ha spiegato come scegliere la narrazione quale strategia comunicativa può risultare vincente considerando che fin da piccoli siamo abituati al racconto e alle sue suggestioni come mezzo per acquisire informazioni.
Dall’ingresso di Renzi a Palazzo Chigi nel 2014 all’effetto Trump sulle regole della comunicazione istituzionale oggi, passando per la campagna elettorale di Emiliano per le comunali del 2009 a Bari, Dino Amenduni ha dimostrato come, a seconda del messaggio che voglio tramettere, utilizzare la figura di un leader politico possa essere un punto di forza o meno e che per arrivare al destinatario della mia campagna devo utilizzare il linguaggio e i canali del destinatario che voglio raggiungere.
Il comunicatore istituzionale ha diritto ad usare tecnologie multimediali, a coinvolgere i cittadini, a personalizzare la comunicazione, ad usare registri dai toni vari, innovare, ibridare gli stili, ma ha il dovere di farsi capire, usare canali preferiti, dare informazioni accessibili, usare cornici di senso esistenti, dire la verità.
Il workshop è terminato con l’incontro tra Fondazione, Project Leader e i membri della giuria di monitoraggio Cristina Farinha e Gerald Colleaux.
Dal confronto con i commissari è emerso come da un lato la Fondazione cerchi di raggiungere gli obiettivi del Dossier interrogandosi su cosa Matera possa dare all’Europa e viceversa e come dall’altro la Commissione si aspetti che il concept del programma scommetta sulla dimensione europea, sul costruire ponti e collegamenti con l’Europa in un’ottica di condivisione di identità e che la cultura sia strumento per lo sviluppo della città in un’ottica di scambio e apprendimento.
I lavori fervono, Matera 2019 è un percorso bellissimo dai mille volti che ha bisogno del sostegno di tutta la comunità per realizzarsi: non sarà vedere portati a termine i progetti la soddisfazione più grande, bensì vedere come questi abbiano cambiato la nostra comunità cittadina sì, ma anche tanto europea.
Marina Gemma
Resoconto di Marina Gemma, volontario digitale del webteam Matera 2019
Le altre fasi della co-creazione:
1° workshop 26-27 giugno 2017
2° workshop 10-11 luglio 2017
3° workshop 17-18 luglio 2017
Il camp
4° workshop 25 e 26 settembre 2017